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"Et dormir dans l'oubli comme un requin dans l'onde.
je suis une cimitier abhorrè da la lune
un vieux boudoir
ses yeux polis sont faits de minéraux charmants"

C. Baudelaire

Quando la poesia è così alta se ne viene come trafitti e ci segue, anche dopo, per quella particolare sonorità che caratterizza e distingue ogni singolo poeta, qui ad esempio, liquida, luminosa ,in Milosz invece grave, come da schianto di naufragio.

"Così, avvicina alla mia tempia il tuo orecchio e ascolta. La mia testa è come una pietra miliare, come la pietra del torrente cosmico. Ecco, i grandi carri neri e sordi della Meditazione stanno per passare. Poi sarà la volta di uno spavento come di uno straripamento dell'acqua primordiale."

O. Milosz

Se la voce (un'insensato borborigma) viene su così forte da non riuscire a frenare il pensiero o il testo più malandrino, più buffalmacco di questo momento già grave della mia vita è perché, ci ho riflettuto, le parole, anzi la parola, è più forte di ogni pensiero di morte, è più forte di qualunque morte dell'anima.
È perché la parola è prima e dopo qualunque progetto e intenzione, è prima e dopo qualunque costruzione razionale.



Alla tenera età di settantun'anni mi accorgo di far-MI ridere davanti allo spettacolo degli innumerevoli luoghi comuni dei buoni sentimenti, delle tante Retoriche. Mi viene di rovesciare le parole e/o il senso delle frasi, mi racconto quel momento del film o dell'intervista, giocando con la voce sugli accenti, sulla calata interna ad un italiano impastoiato di dialettalità, o sul rimbalzo sonoro di quella data singolare parola.
Poi mi invento soluzioni ipotetiche e paradossali di situazioni filmiche, di Soap, pubblicità ecc.
Dunque MI rido, rido in me, accade sempre più spesso.
Rido di quanto elaboro deragliando, destrutturando i fantasmi della realtà nelle sue infinite rappresentazioni, soprattutto quando queste assumono presunzione di indefettibile serietà. Dunque, voglia di leggerezza, di cazzeggio gratuito, di frequentazione ravvicinata, di una qualche forma di Stupidità di saviniana memoria, disperata necessità, forse, di una condizione edenica. Necessità di sottrarre un eccesso di peso e significato (aggravati dalla comune retorica) al senso del vivere e al suo teatrino quotidiano.